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(Cyber)violenza di genere: il filo rosso che lega l’esperienza onlife delle donne

di Beatrice Antola

 

“Il web può essere uno spazio molto pericoloso, pieno di trappole per le donne e opportunità per i persecutori, anche grazie a un senso generalizzato d’impunità e a una risposta lenta e inadeguata della giustizia. Fino a oggi, l’UE non ha fatto molto per mettere al sicuro le donne, che rimangono le vittime principali della violenza di genere online. Io mi auguro che questa relazione finalmente cambi le cose. È giunto il momento che la Commissione aumenti gli sforzi e presenti una Direttiva esauriente che copra tutte le forme di violenza di genere, anche online.”[1] L’intervento dell’eurodeputato dei Socialisti e Democratici Robert Biedrón, risalente al 2021, fa riferimento al dovere, da parte della Commissione per le Libertà Civili (LIBE) e dei Diritti della Donna (FEMM), di stabilire delle normative e conseguenti sanzioni in grado di contrastare non solo la violenza di genere, ma anche e soprattutto la sua diffusione online. Nello stesso anno viene approvata in Parlamento Europeo la proposta di risoluzione sulla cyber-violenza che illustra gli strumenti a disposizione delle forze politiche: oltre alla necessità di una definizione adeguata e unanime del fenomeno, è urgente promuovere la consapevolezza e la comprensione dello stesso, insieme all’educazione e rieducazione sia di coloro che la commettono, sia di chi la subisce[2]. Ma se l’attenzione delle istituzioni e le normative sono oggi agli inizi, la cyber-violenza è una realtà già largamente presente nel web dall’inizio degli anni 2000 e numerose statistiche ne indicano un aumento vertiginoso e proporzionale alla diffusione degli stessi apparecchi elettronici e delle piattaforme social a cui riconducono.

I dati scarseggiano a partire dall’assenza di una definizione unanime di cyber-violenza: è pertanto difficile documentare la casistica nazionale e transnazionale e operare un confronto interno all’Unione Europea. Inoltre, l’identificazione e la denuncia degli episodi di cyber-violenza è estremamente bassa a causa della natura volatile delle interazioni online, spesso protette dall’anonimato e da una serie di altri meccanismi come la crittografia e la possibilità su alcune piattaforme, come Telegram, di mascherare l’indirizzo IP degli utenti. Infine, le capacità delle forze dell’ordine di rintracciare e sanzionare questi atteggiamenti è notoriamente limitata, come lo è d’altronde la fiducia delle vittime. Per di più, la cyber-violenza si infiltra in così tanti contesti diversi che è praticamente impossibile tutelarsi: basti vedere lo scandalo emerso di recente presso l’azienda pubblicitaria We Are Social, dove il cosiddetto “Gruppo degli 80” commentava su Skype i corpi delle colleghe, oggettificandoli e sessualizzandoli con termini violenti, svilenti e disumanizzanti. A detta dei direttori, il gruppo, emerso già anni prima, fu eliminato e l’atteggiamento dei partecipanti condannato, ma nessuno di loro venne licenziato o allontanato; al contrario, molte vittime lasciarono l’ambiente di lavoro a causa del mobbing, le avance e le umiliazioni. Nonostante sia ora in corso un’indagine “affidata a terze parti”, è evidente che dinamiche di potere all’interno di simili ambienti lavorativi impediscano alle vittime di cyber-violenza di tutelarsi e vedere adeguatamente perseguite tali molestie[3].

Un ulteriore aspetto da considerare è la natura di questo tipo di violenza, nei mezzi che usa e nei soggetti a cui è rivolta. L’abuso online non si limita, infatti, ai semplici commenti negativi o inopportuni, e nemmeno alle più gravi minacce: la diffusione di contenuti multimediali (solitamente immagini o video) sessualmente espliciti di un soggetto non consenziente, ad esempio, è noto nella forma di revenge porn rivolto a ragazze e donne adulte. Se, in questa casistica, la vittima ha solitamente condiviso tali file con una persona che ha poi violato l’intimità della relazione inoltrandoli a terzi, esistono anche numerosi forum e gruppi dove utenti anonimi condividono questo tipo di contenuti scattati o girati di nascosto, che ritraggono compagne e familiari nell’intimità della propria casa e della propria famiglia. Nei casi più gravi si parla di CSEAM (Child Sexual Exploitation and Abuse Material), quando ad essere coinvolt* sono minori adescat* o vicin* al soggetto violento. Non sorprende quindi che, complice anche il maggiore utilizzo dei dispositivi elettronici durante la pandemia di COVID-19, gli abusi online su minori siano aumentati in misura allarmante nel 2021: rispetto anche solo all’anno precedente, i casi di pedopornografia trattati dal Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni sono aumentati nella sola Italia del 47%, con un picco significativo che vede coinvolte le vittime di età compresa tra i 10 e i 13 anni[4]. E se nel caso dell* minori il genere è pressoché irrilevante, con l’aumento dell’età delle vittime e il ricorso a forme di cyber-violenza diverse dall’adescamento, esso diviene un fattore determinante.

Le raccolte di dati sulla cyber-violenza subita da donne giovani e adulte sono diverse, ma tutte ugualmente preoccupanti. Il rapporto Free to be Online, ad esempio, è una delle più grandi indagini condotte sul fenomeno, e dall’esperienza di oltre 14.000 adolescenti in 12 diversi paesi emerge un quadro agghiacciante, dipinto di doppie discriminazioni: il 42% delle ragazze appartenenti alla comunità LGBTQ+ dichiara di essere vittima di molestie online anche a causa del proprio orientamento e il 37% di coloro che appartengono a minoranze etniche afferma di aver subito molestie a sfondo razzista. Il 42% delle partecipanti totali sostiene inoltre di aver perso fiducia in sé stessa a causa di tali esperienze sui social media; 1 su 4 afferma di essersi effettivamente sentita minacciata; numerose hanno riscontrato problematiche nel relazionarsi a scuola, con i coetanei e con i familiari[5]. Il sondaggio sul fenomeno condotto online da Amnesty e da Ipsos Mori, dal canto suo, documenta che circa il 24% delle donne intervistate ha temuto conseguenze per i familiari in seguito alle molestie subite online; e se negli 8 paesi in cui il questionario è stato somministrato le partecipanti hanno genericamente dichiarato che le normative nazionali e internazionali sulle molestie sono inadeguate, un terzo delle donne in Regno Unito, negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda ha affermato che ad essere inappropriata è la gestione del fenomeno da parte delle forze dell’ordine[6]. Ma l’estensione dell’abuso virtuale è tale da permeare, soprattutto tra i giovani, anche le relazioni interpersonali più intime: 2 adolescenti su 5, in un campione di 1000 partecipanti ad un questionario online promosso dal Movimento Giovani di Save the Children, si dicono a conoscenza di casi di violenza online nelle relazioni di coppia. Tra le forme di abuso più frequenti si menzionano la creazione di profili fake per controllare l* partner (73,4%); il contattare l* partner in maniera insistente per sapere dove si trova e con chi (62,5%); il controllo diretto dei suoi spostamenti (57%); l’impedire che l’altra persona segua o sia seguit* da terz* sui social (56,2%); le pressioni al fine di ottenere contenuti sessualmente espliciti (55,1%); e la minaccia di diffondere informazioni, foto o video imbarazzanti o intimi (40,6%)[7]. Secondo gli esperti, tra cui il Professor Fausto Pagnotta, Dottore di ricerca in Studi Politici e collaboratore dell’Università di Parma, la radice è nel sistema culturale e vi sono quindi numerosi piani su cui è necessario agire, soprattutto tra i più giovani: prime fra tutti la sensibilizzazione e l’educazione, le garanzie istituzionali e l’aspetto normativo. In Italia, le leggi sul cyberbullismo (n. 71/2017) e sulla violenza di genere (n. 69/2019, nota anche come “Codice Rosso”) sono arrivate colpevolmente tardi e presentano ancora numerose lacune, come le presenta del resto anche la normativa europea e internazionale[8].

Un ultimo fattore che è opportuno considerare è la dimensione di genere della cyber-violenza: anche gli studi più generici, infatti, evidenziano delle differenze fondamentali tra la violenza online rivolta agli uomini rispetto a quella rivolta alle donne. A grandi linee, i trattamenti riservati a queste diverse categorie si possono scindere tra offese verso ciò che una persona pensa o esprime e quelle verso ciò che una persona è: in breve, se un uomo viene più facilmente offeso per aver espresso delle opinioni impopolari o estreme, una donna viene più facilmente offesa in quanto donna, con molestie e minacce a sfondo sessuale, o basate sulla presunta inferiorità conferitale dal proprio genere. Non è quindi un caso che, a parità di esperienza in termini di linguaggio violento online, una donna sia più propensa a farsi da parte, a isolarsi dalle piattaforme o ad evitare di esprimersi: si tratta infatti di un’umiliazione rivolta alla sua identità, al suo gruppo di appartenenza (già umiliato in più forme off-line) e ad una caratteristica fondamentale della sua persona che non può in alcun modo alterare. Le conseguenze psicologiche e sociali di una violenza di questa natura sono quindi significative per la sua esperienza individuale di interazione sociale e di partecipazione al dibattito pubblico[9].

È evidente che il tipo di cyber-violenza subito dalle donne, in tutte le sue forme, è prevalentemente volto ad un dominio e ad un controllo della loro persona e dei loro comportamenti, attraverso umiliazioni sessuali volte a farle sentire intrinsecamente limitate o prive di valore. Se è vero che l’educazione e la sensibilizzazione ai limiti di una cultura ancora misogina, velatamente e non, è il principale se non l’unico strumento alla nostra collettiva disposizione per cambiare sul lungo termine le dinamiche di potere che permeano le relazioni interpersonali, il lavoro e l’interazione sociale online off-line e onlife[10], emerge dai dati già riportati l’urgenza di tutelare nel frattempo le vittime di e da questo tipo di abuso. L’apparentemente effimera natura della cyber-violenza, infatti, è smentita dalle statistiche che la descrivono come un continuum, nella maggior parte dei casi, di un abuso già presente nella vita reale, soprattutto quando si verifica all’interno di relazioni e contatti con persone che si conoscono anche al di fuori della realtà virtuale[11]. Ignorare il doppio filo che genera il circolo vizioso di violenza di genere online e offline impedisce di comprendere le conseguenze devastanti che anche un abuso apparentemente volatile come quello virtuale può celare: tutelare le vittime richiede una coesione di definizione, comprensione e intento verso quella che è l’ultima frontiera, codarda e anonima, dell’umiliazione delle donne e di tutte le sue conseguenze psicofisiche, sociali e politiche.

 



[1] Il mondo online non è sicuro per le donne – S&D chiede azioni legislative Ue per combattere la violenza di genere in rete, 70 Years of S&D, 2021. Link

[2] Che cos’è la cyber-violenza, il Post, 2022. Link: https://www.ilpost.it/2022/11/20/che-cose-la-cyber-violenza/

[3] #Metoo della pubblicità, il fondatore di “We are social” e la chat degli 80: «Ci scusiamo, non sapevamo nulla», Open, 2023. Link

[4] L'abuso sessuale online in danno di minori - il dossier, Save the Children, 2021. Link

[5] State of the World’s Girls 2020: Free to be Online?, Plan International, 2020. Link: https://plan-international.org/publications/free-to-be-online/

[6] Molestia online contro le donne: una ricerca comprende anche l’Italia, Amnesty International Italia, 2017. Link: https://www.amnesty.it/molestia-online-le-donne-ricerca-comprende-anche-litalia/

[7] Contro la violenza di genere online: via alla campagna “Lo Hai Mai Fatto?”, Save the Children, 2023. Link

[8] La violenza di genere online riflette la cultura maschilista: “Principali vittime le giovani donne” | SPECIALE 25 NOVEMBRE, il Parmense, 2021. Link: https://www.ilparmense.net/violenza-di-genere-online-intervista/

 

[9]Nadim M., Fladmoe A., Silencing Women? Gender and Online Harassment, Sage Publications, 2021. Link: https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/0894439319865518

[11] Op. cit. il Post, op. cit. Save the Children, op. cit. Silencing Women? Gender and Online Harassment