Blog Genere al Centro

Genere e sostenibilità: la sfida intersezionale dell’età contemporanea

di Beatrice Antola


“Sostengo che le donne nere sono talvolta escluse dalla teoria femminista e dalle politiche antirazziste poiché entrambe le cose si basano su un insieme di esperienze limitate, che spesso non riflettono l’interazione di razza e genere. Questa esclusione non può essere risolta semplicemente includendo le donne nere in una struttura analitica prestabilita. Dato che l’esperienza intersezionale va oltre la somma di razzismo e sessismo, qualsiasi analisi non consideri l’intersezionalità non può comprendere la specifica subordinazione delle donne nere”.

Nel 1989, la giurista e attivista statunitense Kimberlé Crenshaw esprimeva questo nuovo e dirompente concetto nel suo articolo Demarginalizzando l’intersezione della razza e del sesso: una critica alla dottrina dell’antidiscriminazione, teoria femminista e politica antirazzista da parte di una femminista nera. Al tempo, Crenshaw faceva riferimento ad un caso singolare, dove le donne nere non rientravano nelle tutele politiche riservate alle donne bianche, né in quelle dedicate agli uomini neri; e lo stesso tribunale aveva sostenuto che non si potesse considerare una discriminazione come il frutto della somma di altre due. Ma interpretare il problema come una semplice addizione, aveva sostenuto Crenshaw, era una visione superficiale e cieca: esso stava all’intersezione tra due diversi assi e, come tale, necessitava di un’attenzione ed un trattamento specifico alla sua natura[1]. Dopo più di trent’anni dalla pubblicazione dell’articolo, le osservazioni di Crenshaw continuano a risuonare in moltissime discussioni attuali, rivelando assi diversi e intersezioni multiple che richiedono impegni trasversali e riflessioni ad hoc per essere districate.

Tra le intersezioni che sono state affrontate in questo arco di tempo, una delle più importanti coinvolge, assieme all’etnia e al genere, la classe sociale. Pertanto, le difficoltà economiche e lavorative delle persone non-bianche non sono trascurabili in molti casi, e non solo nei paesi in via di sviluppo: nel “civilissimo” Occidente, si osservano non di rado situazioni di ghettizzazione urbana, di marginalizzazione o totale esclusione educativa, formativa e lavorativa, di discriminazione sul lavoro e di mancata tutela dei diritti dei lavoratori in molti settori, soprattutto nella manovalanza[2],[3]. Tutto ciò è aggravato da forme esplicite o implicite di discriminazione politica e sociale, che impediscono a molte persone non-bianche di esprimersi o essere ascoltate in merito a questioni che le toccano più o meno da vicino: tra gli esempi più noti vi sono la cittadinanza, il voto o il loro coinvolgimento in iniziative di politica locale e attività culturali.

Ma l’attuale periodo storico richiede un’attenzione particolare, nel panorama internazionale, verso un’intersezione precedentemente ignorata e oggi spesso sminuita: quella tra genere, etnia e crisi climatica. Secondo il report Progress on the Sustainable Development Goals: The Gender Snapshot 2023, pubblicato in vista del summit ONU sullo stato di avanzamento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, la spesa necessaria a colmare il gender gap attualmente causato dalla crisi climatica ammonterebbe a una cifra addizionale di 360 miliardi l’anno, un dato verosimilmente destinato ad aumentare con l’acuirsi dell’emergenza. Gli esperti non si sono infatti limitati a calcolare gli investimenti necessari solo per gli obiettivi dedicati all’uguaglianza di genere, ma hanno effettuato un’operazione intersezionale, analizzando per ogni punto il divario registrato tra uomini e donne.

Il risultato di questo calcolo indicativo è alquanto allarmante: nel 2030, 340 milioni di donne e ragazze vivranno in condizioni di estrema povertà. Al di là del numero assoluto, il gender gap non sempre è facilmente calcolabile, a causa dell’assenza di dati disaggregati per genere: dove è possibile farlo, però, c’è sempre una differenza percentuale. Nel caso della Repubblica Ceca, ad esempio, il tasso di povertà delle donne ammonta a 21,5%, contro il 14,7% degli uomini[4].

Similmente, le donne sono svantaggiate nella sicurezza alimentare che, nel 2022, è mancata al 27,8% della popolazione femminile e al 25,4% della popolazione maschile, e ciò è dovuto soprattutto al mancato riconoscimento e tutela delle donne impiegate nel settore agricolo[5]. Com’è facilmente intuibile, entrambe le problematiche saranno con ogni probabilità acuite dalla crisi climatica, che potrebbe relegare circa 158 donne e ragazze in più a condizioni di povertà entro la metà del secolo, con un gap di 16 milioni rispetto agli uomini; e condannarne altri 236 milioni aggiuntivi all’insicurezza alimentare, a fronte di 131 milioni di uomini[6].

Dai dati emerge innanzitutto la necessità di sostenere maggiormente le donne nel percorso educativo e formativo, poiché attualmente, in molti paesi, esse sono relegate a condizioni lavorative precarie che rendono difficile accedere a posizioni di prestigio. Il gap è presente soprattutto nell’area STEM che, visto lo sviluppo tecnico-scientifico corrente, richiederebbe invece, a maggior ragione, il loro intervento per prevenire i bias di genere in settori come quello dell’intelligenza artificiale[7].

Oltre all’aspetto educativo e lavorativo, una serie di contingenze espongono le donne ad ulteriori rischi dovuti alla crisi climatica: secondo lo stesso report ONU, i disastri naturali in aumento affliggono principalmente le categorie più vulnerabili e l’impiego di molte donne e bambini nella raccolta dell’acqua nei paesi in via di sviluppo provoca loro un danno maggiore sia durante i periodi di siccità, sia nel caso di alluvioni[8]. Per di più, numerosi studi sulla violenza di genere fisica, psicologica e riproduttiva sottolineano come nell’eventualità di disastri naturali, come anche di conflitti armati, l’incremento sia esponenziale: l’Ufficio per gli Affari Umanitari dell’ONU afferma che, se in tempi di pace il 35% delle donne nel mondo subisce violenza di genere, durante i periodi di crisi questa percentuale sfiora il 70%[9].

È evidente quindi che escludere le questioni di genere come parte integrante della crisi climatica ne impedisce una risoluzione efficace, quantomeno dal punto di vista sociale: politiche come l’espansione della rete di trasporti pubblici o la carbon tax tendono a svantaggiare le donne in maniera sproporzionata, perché non considerano le loro necessità e la loro posizione fisica, abitativa o lavorativa. Anche nei casi in cui un ente si preoccupi sia della sostenibilità ambientale, sia delle questioni di genere, spesso le due sono trattate separatamente e non come una delle tante sfide intersezionali dell’epoca contemporanea[10].

Ma uno spiraglio c’è: statisticamente, le donne sono più responsabili e dimostrano un maggiore interesse nella risoluzione della crisi climatica[11]. Si tratta quindi di agenti politiche importanti, che già in molti casi si occupano della problematica sia sul piano dell’attivismo, sia sul piano politico e corporativo, con studi che dimostrano che gli enti a dirigenza maggiormente femminile performano meglio in termini di sostenibilità, come anche di impatto sociale, anche in contesti di crisi[12]. Non è dunque sorprendente che un più ampio coinvolgimento di donne di diverso background e provenienza, nell’ambito dell’intersezione tra genere e sostenibilità, potrebbe, a diversi livelli del lavoro politico, portare a risoluzioni alternative e inclusive.

La tesi di Crenshaw, a distanza di molti anni, non smette di sciogliere alcuni nodi cruciali della questione sociale in tutte le sue sfumature, poiché non solo vengono presi in considerazione diversi livelli, ma anche la loro intersezione, in modo tale da creare una panoramica inclusiva e multidisciplinare. Il coinvolgimento delle persone che si trovano in situazioni di maggiore vulnerabilità è strettamente necessario per costruire un futuro che sia realmente sostenibile nel significato più ampio del termine, e richiederà tutta la passione, l’urgenza e la determinazione possibili.



[1] Crenshaw K., Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: a Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics, The University of Chicago Legal Forum, 1989

[2] Weller C. E., African Americans Face Systematic Obstacles to Getting Good Jobs, Center for American Progress, 2019

[3] Di Napoli A. et al, Epidemiologia della Salute della Popolazione Immigrata in Italia: Evidenza delle Indagini Multiscopo ISTAT. Discriminazione sul Lavoro, Integrazione Sociale e Salute mentale percepita in Italia, Istituto Nazionale per la Promozione della Salute delle Popolazioni Migranti e per il Contrasto delle Malattie della Povertà, 2016

[4] Marino G., Gender Gap, ONU: per Colmarlo Servono 360 Miliardi di Dollari all’Anno, Renewable Matter, 2023

[5] Ivi

[6] Ivi

[7] Ivi

[8] Gloor J. L. et al, We Can’t Fight Climate Change Without Fighting for Gender Equality, Harvard Business Review, 2022

[9] Scheele C., Actioning Solutions Where Gender-Based Violence and Crisis Meet, European Institute for Gender Equality, 2023

[10] Op. cit. We Can’t Fight Climate Change Without Fighting for Gender Equality

[11] Arora-Jonsson S., Virtue and Vulnerability: Discourses on Women, Gender and Climate Change, Global Environmental Change, 2011

[12] Eagly A. H., The Female Leadership Advantage: an Evaluation of the Evidence, The Leadership Quarterly, 2003