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Giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia: il percorso di liberazione e le sfide attuali

di Beatrice Antola


Nonostante le tortuosità e gli ostacoli che ancora oggi intralciano il sentiero della libertà sessuale, nell’arco degli ultimi decenni la comunità LGBTQIA+ ha celebrato una serie di vittorie, a volte simboliche, ma pur sempre di fondamentale importanza per l’ascesa verso l’emancipazione. Uno di questi ponti fu attraversato il 17 Maggio del 1990, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità decise di rimuovere definitivamente l’omosessualità dalla classificazione internazionale delle malattie mentali. La data venne quindi scelta dall’Unione Europea per sollevare annualmente l’attenzione e il dibattito attorno alle problematiche che la comunità è tuttora costretta ad affrontare in svariate aree, anche del continente europeo. Non è un caso, infatti, che la ricorrenza sia stata istituita nel 2004, in seguito ad alcune dichiarazioni delle autorità polacche contro la comunità.

Malgrado i passi avanti e la dedizione delle istituzioni sovranazionali, il problema dell’omolesbobitransfobia richiede tutt’oggi un approccio multilaterale e, per certi versi, multilivello. Il caso polacco ne è l’esempio principe: in seguito alle critiche e alle sanzioni imposte dall’Unione Europea contro le misure repressive adottate dal governo di Varsavia, a quest’ultimo è bastato attribuire la responsabilità di tali politiche alle autorità locali per evitare l’onere di prendere una posizione più chiara e in linea con le aspettative internazionali.[1]

Inoltre, le conseguenze dell’ideologia omolesbobitransfobica trascendono il contesto politico: di questo è esempio l’Italia stessa che, dopo aver affossato il disegno di legge Zan sostenendo la presenza di sufficienti tutele legali delle minoranze, continua a registrare dati preoccupanti, indici dell’impatto sociale ed economico della discriminazione basata sull’orientamento sessuale.

Secondo i dati Istat per il biennio 2020-2021, tra le persone omosessuali e bisessuali occupate o ex-occupate, il 26% dichiara che il proprio orientamento ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa in almeno uno dei seguenti tre ambiti: carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, o reddito e retribuzione. Il 40,3% riferisce di aver evitato di parlare della vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale, e circa sei persone su dieci hanno sperimentato almeno una micro-aggressione. Una persona su tre dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione mentre cercava lavoro, e quasi una persona su due sostiene di averlo subito a scuola o in università. Più in generale, il 38,2% delle persone dichiara di aver subito, per motivi legati al proprio orientamento sessuale, almeno un episodio di discriminazione in altri contesti di vita; e se oltre il 68,2% ha dichiarato che è capitato di evitare di tenere per mano in pubblico un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato, il 52,7% ha evitato totalmente di esprimere il proprio orientamento sessuale per lo stesso motivo.[2]

Il tema è stato recentemente affrontato da Ilenia Pennini, responsabile alle politiche della salute per la segreteria nazionale di Arcigay e vicepresidente del comitato territoriale Arcigay Tralaltro Padova, in occasione della Conversazione a Casa Cornaro di martedì 9 maggio. Si è discusso nello specifico di come l’impatto psicofisico dell’omolesbobitransfobia può generare in chi la subisce uno «stress cronico dato da stereotipi e pregiudizi», come anche da «micro e macro aggressioni». La sensazione di impotenza è talmente pervasiva che molti membri della comunità, soprattutto appartenenti ad altre minoranze, sono sfiduciati anche verso il supporto e il servizio dei centri antidiscriminazione presenti sul territorio. Mattia Galdiolo, del Centro Antidiscriminazioni LGBT+ Mariasilvia Spolato, aggiunge che la natura cumulativa ma non immediatamente pericolosa delle aggressioni subite dai membri della comunità rende ulteriormente difficile definire il quadro individuale di queste persone. E nonostante la presenza e l’approvazione da parte di svariate autorità pubbliche di questi enti nel territorio padovano, la sfida è la capillarità: rispetto ad esempi come Pavia, dove un modello decentralizzato ha permesso la nascita di più centri satellite, Padova ne ha visti emergere relativamente pochi, per quanto questi operino in fasce orarie molto ampie.

Ciò di cui è più importante tener conto, secondo Pennini, è la comunicazione politica attorno al tema. “I picchi di violenza – sottolinea – si raggiungono nei momenti in cui questi argomenti sono più discussi, come nel caso del DDL Zan”. È quindi fondamentale operare una mitigazione dell’opinione pubblica, “non come parte di una mera strategia politica”, ma per evitare la polarizzazione e “sollecitare l’utenza a usufruire di un servizio” di cui necessita e che non dovrebbe essere fonte di paura, vergogna o ulteriore violenza.

Sostanzialmente, se è vero che il riconoscimento istituzionale del problema e la presenza di tutele formali dalla discriminazione omolesbobitransfobica è parte di una più ampia battaglia di civiltà, è necessaria la consapevolezza che le conseguenze più gravi di questa problematica hanno luogo nelle strade, tra le mura di casa, a scuola e al lavoro, e nella sfera più intima e privata di chi teme per il proprio benessere. La natura dilagante dell’omolesbobitransfobia e la sua capacità di permeare gli spazi vitali delle persone sono caratteristiche da trattare in più sedi, per il bene degli individui, della comunità e della collettività tutta.

 



[1] Notes from Poland, EU ends legal action against Poland over anti-LGBT zones, 16 February 2023. Link: https://notesfrompoland.com/2023/02/16/eu-ends-legal-action-against-poland-over-anti-lgbt-zones/

[2] Istituto Nazionale di Statistica, Discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ (in unione civile o già in unione) – anni 2020-2021. Link: https://www.istat.it/it/archivio/268470