Il mito del “corpo sbagliato” nei discorsi trans*
di Ezra Capalbo
In occasione della Giornata Internazionale contro l’omolesbobitrasfobia, con questo articolo si vuole portare l’attenzione su un fenomeno ricorrente ma problematico che emerge dalla narrazione dei vissuti delle persone trans*.
Quello del “corpo sbagliato” è un leitmotiv che ha da sempre, persistentemente, catalizzato il racconto delle esperienze trans* dall’esterno, ma non solo.
Sebbene ad una prima lettura il termine possa apparire neutro o non problematico, è bene tenere conto del contesto storico e sociopolitico in cui fu utilizzato inizialmente. Il corpo è qui visto come una gabbia, ovvero genderizzato in senso “sbagliato”, appunto, rispetto alla percezione di sé a livello cerebrale, ovvero della propria identità di genere. Si tratta, quindi, di una suddivisione estremamente dicotomica perché distingue in maniera netta la nozione di corpo, inteso come unico testimone del reale perché tangibile, contrapposta alla volatilità dell’autodeterminazione nell’identità di genere. In definitiva, tale soluzione esplicativa non è in grado di comprendere la varietà delle esperienze trans* e gender diverse (tgd), oggi più diffusa e nota, e per questo ha assunto in vari momenti storici - come anche tutt’ora in molti casi - una funzione di gatekeeping rispetto ai racconti delle persone trans* che non rientrino nel binarismo di genere.
Le prime testimonianze risalenti all’inizio del XX secolo relative a trattamenti medici perfezionati per le persone trans*, come terapie ormonali e interventi di riassegnazione di genere, sono state raccolte, divulgate - e, nel mentre, anche mediate - da medicɜ, psicologɜ e psichiatrɜ che prendevano in carico tali richieste.
Da una parte, i media e i giornali relegavano le storie di queste persone a notizie oscillanti tra il mostruoso e il sensazionalismo, come nel caso di Christine Jorgensen, che negli anni ’50 fu la prima donna transgender la cui operazione di riassegnazione del sesso abbia effettivamente avuto un’eco mediatica rilevante, diventando d’ispirazione poi per tante persone T negli anni ’60. Dall’altra, le figure professionali che avrebbero dovuto pensare in primis al benessere della persona contribuivano, anche se in buona fede e forse inconsciamente, alla patologizzazione e all’isolamento di determinate esperienze di vita, e uno dei dispositivi usati era appunto la retorica del “corpo sbagliato”.
In una società, come quella dell’epoca, spiccatamente ciseteronormativa e fondata sulla divisione binaria dei ruoli di genere, il corpo sbagliato era un’interpretazione possibile di alcune delle esperienze trans* di allora. Ma era anche - e soprattutto - un modo per fingere interesse per il benessere della persona, quando invece l’obiettivo principale era il mantenimento dell’ordine sociale, anche tramite il contrasto alle sessualità altre rispetto a quella eterodiretta. In molti casi, infatti, l’intersezionalità dell’essere persone transgender o genderqueer e contemporaneamente essere attrattɜ dalle persone del sesso corrispondente alla propria identità di genere era condizione sufficiente per l’esclusione dalla possibilità di intraprendere i pochi percorsi di affermazione di genere allora offerti. Vale a dire, la possibilità di accedere al percorso di riaffermazione di genere veniva preclusa, in un'ottica di promozione dell'eterosessualità, a chi fosse risultato omosessuale al termine dello stesso. Solitamente le persone a cui veniva concesso l’accesso al percorso di riaffermazione di genere erano, quindi, in minoranza rispetto alle richieste. Spesso si trattava di donne transgender eterosessuali e di persone intersex - alle quali, però, non era concesso di scegliere il corpo che preferivano in base alla loro identità di genere, ma questo veniva “modellato” dai medici sulla base delle proprie preferenze.
La medicina e la psicopatologia spesso hanno raccontato il tema del “corpo sbagliato” come una sensazione costante di sofferenza e instabilità – in alcuni casi paragonando i corpi trans* addirittura a dei mostri, - quando è ormai noto che queste non siano condizioni universali dell’esperienza trans*.
Dato che una narrazione così inscritta nel bisogno di una cura, solitamente, però, favoriva l’accoglienza delle domande di riassegnazione del sesso o di terapia ormonale, molte persone trans* se ne sono appropriate per necessità. È il caso, ad esempio, di alcune delle testimonianze che la sociologa e attivista partenopea Porpora Marcasciano, da anni impegnata come esponente del Movimento Identità Trans di Bologna, raccoglie nel suo libro "Tra le rose e le viole. La storia e le storie di transessuali e travestiti", testimonianze preziose come quelle di Antonello, Claudia, e Max, per citarne alcune, che dimostrano come, allo stesso modo di oggi, fosse variegata l’esperienza trans* passata. Uno tra i fili conduttori di questi racconti - a cui si lega anche l’autobiografia "Scheletro femmina" di Francesco Cicconetti (forse meglio conosciuto come @mehths sui social) - è il passaggio dalla decostruzione del corpo genderizzato a partire dal sesso assegnato alla nascita, al riconoscimento in altri generi ed infine all’eventuale ricostruzione del proprio corpo attraverso il percorso di affermazione di genere.
È grazie a queste storiche attiviste e combattenti per i diritti trans*, protagoniste della celebre manifestazione in piscina a Milano - dove si recarono a petto nudo e in costumi da bagno maschili, ovvero costumi che rispettavano il sesso scritto sui loro documenti - se oggi possiamo vantare una tra le prime leggi sulla riaffermazione di genere ad essere approvate in Europa (Legge 14 aprile 1982, n. 164, «Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso»), seconda solo a quella svedese di dieci anni precedente.
Negli anni Ottanta, infatti, insieme ai nascenti Gender Studies, poi portati avanti da Judith Butler nel decennio successivo, la questione trans* - e in particolare il processo di rettifica anagrafica - ricevette nuovo impulso a partire dall’introduzione del Gender Identity Disorder (GID, oggi conosciuto come Incongruenza di Genere e/o Disforia di Genere) nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM). Tuttavia, o forse proprio per questo, alla standardizzazione del procedimento burocratico si è affiancata e standardizzata la medicalizzazione del percorso di transizione. Le opzioni, infatti, restavano quelle di maschio e femmina. Venivano, quindi, risolti alcuni problemi, come il ritiro della patente, del passaporto, o del diritto di voto a cui andavano incontro quotidianamente persone trans* e gender diverse (tgd), ma solo se il percorso veniva esperito all’interno del binarismo di genere.
A distanza di oltre quarant’anni dalla promulgazione della legge italiana, e nonostante nel 2015 siano state apportate importanti e necessarie modifiche per rendere le operazioni chirurgiche facoltative, la legge Italiana attuale presenta ancora tantissime criticità e incongruenze, con conseguenze pratiche e invalidanti sulla vita quotidiana delle persone. Prima fra tutte, la richiesta di diagnosi di disforia di genere non aiuta a comprendere tutte le sfaccettature possibili delle diverse identità di genere non binarie. Inoltre, le persone non-binary e gender-queer che vogliano sottoporsi solo ad alcune parti del percorso risultano completamente escluse dal riconoscimento sociale a livello burocratico. Di conseguenza, si vedono limitate nel proprio diritto all’autodeterminazione che dovrebbe accomunare tutti gli esseri umani ed essere garantito dalle legislazioni.
In conclusione, il concetto di “corpo sbagliato” non è sufficiente per includere al proprio interno tutte le possibili sfumature che connotano e colorano la complessità delle esperienze trans*. Così come è altrettanto difficile, se non impossibile, dare una definizione univoca della molteplicità variabile degli stessi corpi trans* e gender diverse (tgd). Si potrebbe pensare quindi ai corpi trans* come corpi in movimento, in divenire, testimoni di una forte volontà di superare le rigide imposizioni della società odierna. Corpi che anelano al futuro e ad un mondo più aperto e accogliente, non solo inclusivo.
Bibliografia:
Cicconetti, Francesco; Scheletro femmina, Mondadori, Milano, 2022.
De Leo, Maya; QUEER. Storia culturale della comunità LGBT+, «Le storie del Corriere della Sera», Milano, 2023.
Engdahl, Ulrica; Wrong body in «Transgender Studies Quarterly» (Maggio, 2014) 1 (1-2), Duke University Press, Durham NC, USA.
https://read.dukeupress.edu/tsq/article/1/1-2/267/91883/Wrong-Body
Koch-Rein, Anson; Monster in «Transgender Studies Quarterly» (Maggio, 2014) 1 (1-2), Duke University Press, Durham NC, USA.
https://read.dukeupress.edu/tsq/article/1/1-2/134/91717/Monster
Madrenas M., Bru; Transgressorxs. Libro colaborativo sobre identitades no binarias, Nosinamor, diseño y autoedición, 2022.
Marcasciano, Porpora; Tra le rose e le viole. La storia e le storie di transessuali e travestiti, Edizioni Alegre, 2020.
Schettini, Laura; L’ideologia gender è pericolosa, Editori Laterza, Bari-Roma, 2023.
Istituto Superiore di Sanità, Infotrans.
https://www.infotrans.it/it-schede-25-transgender_rassegna_legislativa