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Mascolinità patriarcale e sensibilità emotiva

di Alberto Santomauro


In seguito alle terribili notizie di cronaca provenienti da Palermo e da Caivano, negli ultimi mesi si è riaperto in Italia il dibattito sul tema delle violenze sessuali di genere e, in particolare, degli stupri di gruppo. L’argomento in questione è ancora più delicato che in altre circostanze, a causa della giovane età dei protagonisti e delle protagoniste di questi incresciosi avvenimenti [1].

Tuttavia, ancora una volta è emersa a livello mediatico una scarsa capacità di comprensione del fenomeno e una totale assenza di empatia nel commentare i fatti. In questo senso, a fare scalpore sono state soprattutto le dichiarazioni del giornalista Andrea Giambruno, che nel corso di una puntata del “Diario del giorno”, trasmissione da lui diretta sull’emittente Rete4, ha affermato, facendo proprie le posizioni precedentemente espresse dal direttore di “Libero” Senaldi, che se le ragazze evitassero di ubriacarsi e di perdere i sensi, magari eviterebbero di incorrere in determinate situazioni, perché “prima o poi il lupo lo trovi” [2]. Parallelamente, ha ripreso vigore una narrazione che definisce i colpevoli come “bestie” contro cui proporre la castrazione chimica [3]. Il governo, da parte sua, ha immediatamente reagito alla situazione emanando il cosiddetto “decreto Caivano”, che, tra le diverse misure adottate, prevede un irrigidimento delle misure cautelari e penali nei confronti di minorenni accusati di aver commesso un reato legato allo spaccio di droga o ad atti di violenza. Nessuna misura specifica è stata invece prevista in favore dell’introduzione o dell’implementazione di un programma di educazione sessuale e sentimentale nelle scuole, mentre la Ministra per le Pari opportunità Eugenia Roccella ha avanzato l’idea di vietare l’accesso ai siti pornografici ai minori di 18 anni [4].

 

Problematizzare il fenomeno

I commenti di una parte del mondo giornalistico e le diverse misure proposte ci rivelano alcuni aspetti problematici dell’attuale dibattito sul tema delle violenze sessuali di genere in Italia. In primo luogo, il fenomeno del victim blaming, che consiste nello spostare la responsabilità di un evento sulla vittima, inducendola spesso ad un processo di autocolpevolizzazione. In secondo luogo, la tendenza molto forte nella nostra società a disumanizzare le persone che commettono questo genere di reati, descrivendoli spesso con termini che rimandano al mondo animale (bestie) o comunque non umano (mostri). Infine, la difficoltà di intervenire in maniera incisiva in un settore come quello delle piattaforme digitali e del Web, dove oggi si gioca la principale battaglia per la definizione della mascolinità, in quanto più del 95% degli adolescenti possiede un telefono cellulare connesso a Internet [5]. Nel complesso, le tre problematiche qui presentate hanno tutte in comune un aspetto fondamentale, l’incapacità e/o la riluttanza di ampi settori della società nel riconoscere e nel mettere in discussione il principale fattore che sta alla base di episodi così sconvolgenti: la mascolinità patriarcale, più comunemente conosciuta nella sua declinazione di mascolinità tossica.

 

Mascolinità patriarcale e disattivazione delle emozioni

Coniata negli anni ’80 da un professore di psicologia, Stephane Bliss, che faceva parte del movimento mitopoietico maschile, nato intorno al timore che la società dell’epoca fosse sempre più femminilizzata, l’espressione “mascolinità tossica” è stata successivamente utilizzata da alcuni movimenti femministi per riferirsi a quel particolare modello di comportamento maschile che promuove la mentalità dell’uomo “macho”, l’aggressività, la misoginia e l’uso della forza, sia fisica che piscologica, come principale strumento di affermazione del sé [6]. Altra caratteristica fondamentale della mascolinità tossica è quella che la scrittrice e teorica femminista bell hooks ha definito “disattivazione delle emozioni”. Con questa espressione, la pensatrice afro-americana descrive uno degli aspetti più incisivi della cultura patriarcale, e cioè il fatto che molti uomini imparano fin dalla giovane età ad associare un capitale simbolico negativo alla capacità di esprimere liberamente le proprie emozioni [7]. Quest’affermazione è tanto più valida se si considerano quelle emozioni considerate solitamente negative, come il dolore e la sofferenza. Nel complesso, è proprio a partire da questa rinuncia, spesso sofferta, della propria capacità emotiva, che la società patriarcale è in grado di instillare negli uomini la mascolinità patriarcale, termine forse più adatto del precedente per descrivere lo stretto legame che intercorre tra le logiche patriarcali del dominio e il modello di mascolinità ad oggi più diffuso tra la popolazione maschile.

Momento cruciale nel processo di definizione e costruzione della propria identità maschile, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza costituisce quella fase della vita in cui i ragazzi sono sottoposti alle maggiori pressioni da parte della cultura dominante. Da un lato, la maggioranza dei mass media, i social network e YouTube su tutti, trasmette loro un modello dominante e aggressivo, in cui non c’è spazio per l’espressione delle emozioni più intime; modello che i ragazzi mettono alla prova, e spesso vedono confermato, nel confronto con i loro coetanei. Dall’altro lato, è proprio negli anni dell’adolescenza che avviene in maniera più evidente quella “disattivazione emotiva” descritta da bell hooks. I genitori, soprattutto i padri, assumono spesso nei confronti dei figli maschi atteggiamenti di vera e propria “negazione emotiva”, riducendo o annullando quell’affetto e quell’amore che, in alcuni casi, avevano concesso loro in tenera età. Spaventati dall’idea di crescere figli deboli, molti padri, ma a volte anche molte madri, adottano un comportamento che va nella direzione di una drastica riduzione dell’amore “esplicito” concesso e manifestato ai figli maschi. In questo modo, i ragazzi vedono confermato dalla famiglia quel modello trasmesso dai mass media e imparano a rinunciare alla propria capacità emotiva. Tuttavia, questa situazione non toglie al giovane uomo la volontà, anzi la necessità, di ricevere affetto e amore, in primis dai propri genitori. Pertanto, la mancata realizzazione di questa aspettativa stimola in molti ragazzi un sentimento più o meno forte di sofferenza e di dolore, che, non trovando spazi e luoghi dove potersi esprimere, corre il rischio di trasformarsi in rabbia, sentimento quanto mai dannoso per sé stessi e per gli altri. [8]

 

La violenza patriarcale

Giunti a questo punto del discorso è necessario introdurre una piccola, ma decisiva, precisazione rispetto al ragionamento fino a qui condotto. Nella cultura patriarcale esiste in realtà un’emozione che gli uomini possono e, in alcuni casi, devono esprimere, ed essa è proprio la rabbia. Infatti, la rabbia costituisce l’unica emozione che il patriarcato accetta quando è espressa dagli uomini. La collera, anche quando è aggressiva e violenta, è stata considerata per molto tempo, e in buona parte ancora oggi, un’espressione normale e positiva della mascolinità patriarcale, un tratto “naturale” dell’essere uomini. Al tempo stesso, il luogo in cui è loro concesso esprimere questa rabbia, in cui possono sfogare le proprie sofferenze e frustrazioni, è la sfera della violenza, che non si esplicita necessariamente in gesti estremi, ma più spesso in saltuarie esplosioni di collera, molto spesso giustificate in quanto “normali comportamenti da adolescenti”. Nella cultura patriarcale la violenza, sia fisica che piscologica, è il principale strumento attraverso il quale gli uomini affermano il proprio predominio sugli altri, in primis le donne ma anche gli uomini considerati deboli. Inoltre, per tutti coloro che non possono diventare ricchi, leader politici o detenere ampie fette di potere, la violenza diventa il sistema più semplice ed economico per dimostrare la propria virilità. In breve, nella cultura patriarcale la violenza assume spesso il ruolo di tessera d’accesso alla grande “famiglia” degli uomini virili [9].

 

La sessualità patriarcale

Il discorso sulla violenza patriarcale si intreccia strettamente, in un nesso quasi inscindibile, con la sfera della sessualità. La società patriarcale insegna agli uomini che è nella loro natura, nel loro DNA biologico, ricercare continuamente il sesso. Infatti, nella nostra società è ancora molto forte la convinzione che gli uomini non possono farne a meno, perché in caso contrario impazzirebbero. Quest’idea, intrinsecamente falsa, induce molti uomini a cercare in maniera quasi compulsiva il sesso, nella speranza che dia loro tutte quelle soddisfazioni che sono state loro negate dall’annientamento della dimensione emotiva. Tuttavia, quasi sempre un rapporto sessuale, soprattutto se occasionale, non permette di colmare quelle voragini affettive scavate dalla cultura patriarcale. Inoltre, nella vita reale i maschi devono adattarsi a un mondo in cui raramente possono avere continui rapporti sessuali. Questa situazione alimenta la rabbia e la disperazione con cui molti uomini si avvicinano al sesso, inducendoli in alcuni casi ad ottenerlo costringendo o manipolando qualcuno che non lo vuole, spesso una persona appartenente al genere femminile. E tuttavia, l’impossibilità di realizzare la promessa patriarcale di infinito appagamento sessuale rafforza negli uomini la rabbia verso le donne, inconsciamente accusate di possedere, e spesso negare loro, l’oggetto del loro desiderio. Questo è uno dei meccanismi che sta alla base di quella che alcune pensatrici femministe hanno definito “cultura dello stupro”. [10]

 

Amore e uomini sensibili

La mascolinità patriarcale, con la sua capacità di indurre in molti uomini una disconnessione dalla propria sfera emotiva e un “desiderio irresistibile” di appagamento sessuale, assieme alla cultura dello stupro, in qualche modo suo triste “corollario”, possono a giusto titolo essere considerate le principali cause dei terribili episodi avvenuti a Palermo e a Caivano. Se è vero, e noi lo consideriamo tale, che la mascolinità patriarcale è quel meccanismo perverso che impone agli uomini, fin dalla giovane età, di negare, reprimere e disattivare la consapevolezza emotiva e la capacità di sentire i bisogni delle altre persone, l’introduzione di pene più rigide, o la chiusura dei siti pornografici, non sembra essere una soluzione sufficiente a cambiarne i comportamenti. Piuttosto, è necessario immaginare modi alternativi di concepire la mascolinità, modelli che siano in grado di valorizzare la sfera emotiva e affettiva degli uomini, non basati sull’uso della forza e della violenza come principale strumento per affermare le proprie ambizioni. A proposito di ciò, l’esperta di strumenti digitali Terra Loire Gillespie ha parlato di “uomini sensibili”, che sanno esprimere le proprie emozioni in maniera sana e che non hanno paura dell’intimità maschile, per esempio non sentendosi a disagio nell’esprimere affetto per gli amici [11].

Illusi dalla cultura patriarcale, impossibilitati a valorizzare ed esprimere le proprie emozioni, incapaci di vedere o anche solo pensare a delle alternative, molti uomini riversano la propria rabbia e disperazione su quelle persone che ritengono più vulnerabili, spesso donne e bambini. Tuttavia, e per fortuna, il patriarcato non è una macchina perfetta, non è un essere leviatanico capace di avvinghiare tra le sue grinfie tutte le persone in maniera assoluta e incondizionata. Infatti, nella nostra società è possibile osservare delle linee di tendenza alternative, modelli di mascolinità che si discostano da quello dominante, persone che mostrano una certa consapevolezza del problema e che propongono visioni del mondo alternative. Per esempio, la senatrice Cecilia D’Elia, vicepresidente della commissione d’inchiesta sui femminicidi, ha commentato le dichiarazioni di Giambruno affermando che la sua posizione esprime “una concezione sbagliata del rispetto e delle libertà delle persone, un’idea di educazione che va esattamente nel senso contrario a quello che serve”. D’Elia ha quindi proposto, in alternativa, di “educare i ragazzi al rispetto, non le ragazze alla prudenza, insegnare loro il valore del consenso, non alle ragazze quello della diffidenza, ma il diritto all’esistenza libera”. [12]

In conclusione, se come società vogliamo porre fine a episodi come quelli discussi in queste righe, se vogliamo ridurre sostanzialmente la violenza di genere, dobbiamo rivendicare la capacità emotiva degli uomini, in quanto valore positivo delle relazioni umane e fondamento del benessere sociale, e dobbiamo costruire luoghi sicuri in cui essi possano esprimere liberamente le proprie emozioni, soprattutto quelle più “negative”. Per fare tutto ciò è necessario mettere in discussione la mascolinità patriarcale e immaginare solide alternative ad essa.



[5] Internazionale, n. 1512 (30), pp. 38-40.

[7] Bell hooks, La volontà di cambiare. Mascolinità e amore, Milano, Il Saggiatore, 2022 [2004], pp. 44-45.

[8] Ivi, pp. 60-64.

[9] Ivi, pp. 72-78.

[10] Ivi, pp. 92-96.

[11] Internazionale, p. 41.