Parole che contano: verso una lingua italiana inclusiva
Di Sofia Sutera
L’articolo di Sofia Sutera, PhD in Human Rights, Society and Multi-level governance presso l'Università di Padova, offre una riflessione sul legame tra linguaggio inclusivo e la partecipazione della forza lavoro in Italia. La riflessione si concentra in particolare su come l’uso del genere femminile nei titoli istituzionali possa influenzare la partecipazione delle donne nella sfera pubblica.
Di seguito riportiamo alcuni passi tratti dall’articolo e in allegato l’articolo completo.
"L'Italia ha un tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro del 42,8% secondo i dati più recenti offerti dalla Banca Mondiale e raccolti dal database dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro. Questo dato fa dell'Italia il Paese con la più bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro all'interno dell'UE (a pari merito con la Romania, in una situazione peggiore si trova solo Malta con una rappresentanza femminile del 41,7%).
Lo scopo di questo articolo è riflettere sulla lingua italiana per osservare se una lingua più inclusiva possa portare ad una maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro e, in generale, nella realtà sociale esterna, che potremmo anche chiamare la sfera pubblica. [...]
Tuttavia, tracciare una correlazione conclusiva tra la struttura e l'uso della lingua da un lato e il suo impatto in termini di maggiore presenza femminile dall’altro va ben oltre le possibilità e lo scopo di questa analisi. È comunque fondamentale riconoscere che non solo il linguaggio modella la realtà, ma la crea, come affermato da filosofi quali Austin e Searle negli anni '60 e chiaramente espresso dall'affermazione che "Le parole sono azioni" (Wittgenstein 1980, 46). È dunque cruciale esaminare le conseguenze del nostro linguaggio per essere in grado di fare scelte consapevoli in merito al suo utilizzo. [...]
Richiamando un articolo pubblicato nel 2014 dalla sua controparte francese, l'Académie Française,
che affrontava a sua volta la questione della femminilizzazione dei nomi delle professioni, la
Crusca ha fornito una spiegazione piuttosto insoddisfacente sul perché la lingua italiana non
dovrebbe introdurre nuovi strumenti grammaticali per diventare rispettivamente più "gendered" o
priva di genere.
Osservando che nell’uso e nelle scelte attorno alle parole è forte l’androcentrismo, [Vera Gheno] commenta che probabilmente dalla Crusca[...] non ci si può aspettare un atteggiamento diverso (ma un po’ più scientifico, comunque sì). Nelle parole di D’Achille vede il tentativo chiarissimo di sfruttare le istanze delle soggettività non binarie, trans, queer per provare a riportare in auge ciò che si pensava sconfitto: l’idea che il maschile debba essere la norma, lo standard, l’universale (Manera 2021). D’altra parte, considerando che la lingua non è solo uno strumento ma anche uno spazio abitato e attraversato dalle soggettività, l’obiettivo è il riconoscimento dell’uguale valore di tutte le soggettività e del loro accesso alla “cittadinanza linguistica” (Manera 2021).
[…]
Come mette in evidenza, Gheno non crede che tra le persone impegnate nell’uso dei nomi professionali femminili ci sia la convinzione che la scelta di alcune parole piuttosto che di altre sia sufficiente a risolvere le disparità tra uomini e donne, ma d’altro canto,
Le parole non sono mai solo parole: sono ganci verso mondi di significati, e al contempo le parole che usiamo ci definiscono agli occhi degli altri. L’uso di un termine rispetto a un altro è collegato a fattori sociali, culturali, ambientali. Ma soprattutto, poiché noi esseri umani usiamo le parole per capire la realtà, per concettualizzarla e poterne quindi parlare, ciò che viene nominato si vede meglio, acquisisce maggiore consistenza ai nostri occhi. In altre parole, nominare le donne che lavorano in professioni prima quasi esclusivamente maschili, o che conquistano posizioni apicali che precedentemente erano loro de facto precluse, può contribuire a normalizzare, agli occhi (e alla mentalità) delle persone, la loro presenza (Gheno 2020b)".